Mi ha chiesto di cederle il posto in metropolitana – senza sapere che tornavo dalla chemioterapia 🎗️🚇💔
Era un pomeriggio qualunque, uno di quelli in cui le persone si ammassano nei vagoni del metrò. Sudore, chiacchiere stanche, zaini tra le gambe, cellulari in mano, sguardi vuoti. Nessuno guardava davvero nessuno.
Io invece ero tornata da una lunga battaglia.
Uscita pochi minuti prima dall’ospedale, avevo ancora il sapore metallico in bocca. La mia ultima seduta di chemioterapia mi aveva tolto quasi tutto: capelli, forze, appetito… ma non la mia dignità 🧣🧬.
Trovai un posto a sedere vicino alla porta, e fu come se l’universo mi avesse offerto un piccolo rifugio. Mi sedetti lentamente, come se il mio corpo potesse frantumarsi da un momento all’altro. Tirai su la felpa per coprire quel poco che restava dei miei capelli, e chiusi gli occhi per un attimo.
Solo pochi minuti, pensai. Solo un po’ di pace.
Poi salì una donna anziana. Ben vestita, con un ragazzino al seguito, probabilmente suo nipote. Lui si sedette subito su uno degli ultimi posti rimasti. Lei, invece, si fermò proprio davanti a me.
Mi scrutò. A lungo. Poi sbuffò e disse:
— Signorina, mi dia il suo posto, per favore. Non riesco a stare in piedi.
Alzai lentamente gli occhi. Cercai di essere gentile, anche se ero esausta.
— Mi dispiace… ho appena fatto la chemioterapia. Se può, chieda al bambino.
Il suo volto si irrigidì 😡.
— Un bambino è un bambino! Lei è giovane! Una vergogna, questi giovani d’oggi! Manca rispetto per gli anziani! Stare seduta mentre io sto in piedi!
Gli sguardi si voltarono su di me. Alcuni sospirarono, altri sussurrarono qualcosa a denti stretti. Sentii un nodo salire in gola. Non era rabbia. Era dolore. Quel tipo di dolore che non si vede, ma che pesa dentro 🎭.
Ero stanca di nascondermi.
Così sollevai il cappuccio lentamente e lasciai che tutti vedessero. Il mio cranio, pallido e senza capelli. Le occhiaie. Le guance scavate. Poi, con una voce ferma ma dolce, dissi:
— Ho il cancro. Sto facendo la chemio. Se non mi alzo, non è per mancanza di rispetto, è perché non riesco. Non chiedo compassione. Solo un po’ di comprensione.
Il silenzio cadde nel vagone come una coperta.
La donna abbassò lo sguardo. Non disse nulla. Prese la mano del ragazzino e scese alla fermata successiva. Non era nemmeno la sua.
Io tirai di nuovo su il cappuccio e guardai il mio riflesso nel finestrino. Un volto stanco, ma sereno. Qualcuno mi sussurrò: “Forza.” Un altro mi fece un piccolo cenno con la testa 🙏.
Quel momento lo porterò dentro per sempre.
Non perché mi hanno urlato contro — questo lo posso sopportare.
Ma perché mi ha ricordato una cosa: giudichiamo troppo in fretta. Vediamo solo ciò che vogliamo vedere. L’età. L’aspetto. La postura.
Ma dietro ogni sguardo c’è una storia. Una battaglia che nessuno conosce.
Ora, quando vedo qualcuno silenzioso, teso, apparentemente scortese… cerco prima di capirlo. E, se posso, offro ciò che spesso manca nel mondo: un po’ di pazienza e gentilezza 💛.